VISITA GUIDATA AL BORGO...

 

  1. Torre pentagona

  2. Castello, sede del Comune, ricostruito su resti medievali

  3. Chiesa parrocchiale intitolata a San Niccolò

   Usciti dal portone del palazzo e discese due rampe della scalinata, eccoci in Piàza àa Pò, da cui prende avvio la nostra visita al labirintico centro storico, uno tra i più estesi e affascinanti della Bassa Lunigiana nella sua disposizione a cerchi concentrici.

   Attraversata la piazza, sulla destra, di fianco al Torrione (u Torion), proprio in fondo a Via Luigi Valentini,  possiamo ammirare la cinquecentesca facciata con decorazioni scultoree,  oggi alquanto ammalorata, della «Casa Grande»  Fiamberti, il cui portale in ardesia è sormontato dallo stemma comitale (restaurato dopo che le truppe francesi lo scalpellarono dal frontone) raffigurante nel campo superiore esterno un'aquila stilizzata ad ali spiegate e in quello inferiore interno Ercole in lotta con il leone nemeo.  La dimora nobiliare, un tempo ubicata nelle immediate vicinanze  di Porta Sovrana, contava, come quelle dei Picedi e dei Visdomini, dislocate in altri punti strategici dell'agglomerato, vaste sale, terrazze, cantine, fondachi, un torchio e un oratorio domestico.

    Imbocchiamo quindi, sulla sinistra, il sinuoso carobio intitolato a Renzo Picedi che, sotto il benevolo sguardo di una Maestà, forse ex voto per scampato naufragio, gradino dopo gradino ci conduce al complesso castellano (er Castèlo e a Tore), in piazza Ugo Muccini.

    La rocca obertenga, che nell'Alto Medioevo rappresentò un nevralgico centro difensivo della Marca Ligure Occidentale, nel 1799 fu devastata dai bombardamenti nel corso degli scontri tra le truppe franco-genovesi e austro-russe. Sottoposta nel 1884, per iniziativa del sindaco Roberto Perroni, a un intervento di radicale ricostruzione su progetto dell'ingegner Canini di Sarzana, cui deve la sua attuale, suggestiva ma tutt'altro che filologica,  fisionomia 'in stile' (un volume squadrato, a pianta regolare, illeggiadrito da bifore e da una corona di beccatelli  in pietra e mattoni a sorreggere  un'improbabile merlatura ghibellina),  divenne in séguito sede del Municipio, che ospita tuttora. 

   Miglior fortuna è toccata all'adiacente Torre che, sentinella della comunità fin dal X secolo, con i suoi merli guelfi e i suoi lati irregolari rappresenta il più antico e genuino simbolo del paese, l'unico vestigio superstite dell'acropoli obertenga.  il ripristino operato a inizio '900 dall'architetto italo-portoghese Alfredo D'Andrade per sopperire ai danni causati al fabbricato dalle granate dell'età napoleonica (consistente nel rinsaldamento della muratura e delle strutture lignee di ascesa ai diversi piani e nella ricostruzione di un angolo in prossimità della cima) è stato infatti condotto con scrupolo conservativo sufficiente a consentire a questo raro esempio di bastione a pianta pentagona di venire dichiarato Monumento Nazionale. Per apprezzare appieno la grandiosità della severa costruzione in conci cementati con calce mista a coccio pesto, di perimetro identico all'altezza (25 o 16 metri), è consigliabile girarle attorno a naso all'aria (notevole, in particolare, lo spigolo fieramente proteso a contrastare gli assalti provenienti dalla Porta Sovrana, mentre gli altri lati, muniti di rare feritoie, presidiavano le porte laterali). L'angusta porta da cui  un tempo si entrava al suo interno, verosimilmente collegata al castello mediante un ponte levatoio o un camminamento sulle mura, è tuttora visibile (l'attuale porta di accesso risale al 1759). L'edificio è visitabile su appuntamento da fissare con  la Pro Loco, che ha sede in Via Valentini, nel giardino della Mondoteca, al Ponte di Arcola (tel.: [+39] 0187/986559).    

   Da segnalare, a fianco della torre,  la presenza entro un'aiuola di una vasca di arenaria con stemma genovese, utilizzata per la misurazione dei liquidi. La dicitura scolpita nel marmo ("Meza barrile da vino di Genova de pinte trentanove de l'ano 1601" ) ci informa che l'unità impiegata era quella in corso nella Serenissima al principio del XVII secolo.

    Affacciati al belvedere dirimpetto al castello, contempliamo il panorama, di rara bellezza, dei colli boscosi digradanti verso la piana del Magra; quindi attraversiamo la piazza, sulla cui  sinistra si staglia l'edificio ottocentesco, alquanto malandato, che fino alla metà del secolo scorso ospitava l'asilo infantile della Confraternita dell’Immacolata Concezione (l'asilo dia monega).  Raggiunta la scenografica scalinata a doppia rampa che collega Piazza Muccini al sagrato della Parrocchiale di San Nicolò, sostiamo alquanto sulla terrazza a godere della magnifica vista, che spazia dalla foce del fiume fino a Fosdinovo, per poi scendere i gradini, passando accanto all’Oratorio  dell’Immacolata Concezione, già adibito ad Archivio del Comune.

   Giunti sulla Piàza da Gése (Piazza della Chiesa), ci soffermiamo ad osservare  il caratteristico lastrico risalente al 1777: si tratta di un tipico risséu ligure, realizzato con ciottoli di fiume di tre colori (bianco, rosso e nero) che formano una decorazione a motivi geometrici, al centro della quale campeggia una rosa dei venti, emblema della vita repubblicana. Era infatti statuito che qualunque ricercato, esule politico o malfattore si rifugiasse entro il cerchio di sassi variopinti godesse di un diritto d'asilo che lo rendeva intoccabile per due giorni Sollevando lo sguardo, possiamo ammirare due Vergini in maestà: una sulla porta secondaria del tempio e l’altra sull’archivolto del carobio. Coronano il sagrato alcune tra le case più ragguardevoli del borgo, appartenute a esponenti della locale aristocrazia fondiaria.

   La Chiesa fu intitolata dagli Obertenghi, che la fecero erigere come cappella castrense verso la fine dell'XI secolo, a San Nicolò: il vescovo di Myra, morto nel 343 d.C. e traslato a Bari nel 1089,  solennemente festeggiato il 6 Dicembre. Posto dal 1132 sotto la giurisdizione dei Benedettini Olivetani dell’Abbazia di San Venerio dell'isola del Tino per arginare le ingerenze del vescovo di Luni, il piccolo tempio originario a una navata, oggi corrispondente al sacello seminterrato di San Bernardino, nel corso del XVI e, soprattutto, del XVII secolo (1628-1673)  fu sopraelevato, ampliato e promosso a sede principale della comunità parrocchiale arcolana, mentre la Chiesa Matrice, la Pieve rurale dei Santi Stefano e Margherita, da cui ereditava sacramenti e arredi, veniva declassata a pubblico oratorio. L'interno, compartito in tre navate da sei colonne in marmo di ordine tuscanico, accorda armoniosamente addobbi e decori antichi e moderni: tra questi ultimi, pregevoli le pitture eseguite sulle volte e sulle arcate dal Lari e gli affreschi di Luigi Agretti (in particolare l’Annunciazione) risalenti agli anni '20 del secolo scorso; tra i manufatti di alta epoca, degni di nota i tre altari in marmo di Carrara (dedicati a San Giovanni Battista, a Sant'Antonio da Padova, a Santa Caterina e alla Pia Opera del Suffragio) con le relative ancone dipinte e, nella navata destra, presso l’altare della famiglia Fiamberti, un dipinto del 1673 ritraente Anime purganti di Domenico Grassi. Di particolare rilievo l'imponente - circa 3 metri di lato - lastra marmorea in alto e basso rilievo,  un tempo collocata sopra e oggi dietro l'altare centrale, a sovrastare gli stalli di noce in stile impero del coro, ritraente la Madonna assisa con il Bambino e circondata da teste di angeli tra i Santi Margherita (nicchia di destra) e Nicolò (nicchia di sinistra), e, nel trittico della cimasa, Cristo tra i Santi Stefano e Bartolomeo: una singolare summa di tutti i patroni locali che nel 1503 i massari della parrocchiale e i rappresentanti del borgo commissionarono all'arcolano Mastro Giuliano Manfredi, scultore in Carrara. Nell'aula seminterrata a navata unica si segnala la vetustissima abside semicircolare inclusa nel muro, secondo un antico modello d'origine siriaca il cui più insigne campione si ammira in San Pietro a Portovenere. Anche la sagrestia riserva al visitatore gradite sorprese: vi sono infatti custoditi una grande tela in attesa di restauro, L'annunciazione, attribuita a Guido Reni  e un lavandino in marmo con l'effigie di San Nicolò.

    I lavori di ingrandimento della chiesa imposero la demolizione dell'annesso campanile e l'edificazione, tra il 1658 e il 1678, di una nuova torre campanaria a pianta quadrata, su progetto di Mastro Lorenzo della Spezia, quasi a ridosso delle mura del castello, ove già sorgeva l'Oratorio dell'Immacolata Concezione. Il fabbricato, che deve la sua rapida costruzione allo zelo indefesso del sacerdote Camillo Picedi, potè dirsi definitivamente ultimato solo all'inizio del XVIII secolo, quando venne abbellito delle ultime rifiniture e, soprattutto, dotato di orologio e delle sue attuali tre campane.