E ALLE SUE FRAZIONI...
BACCANO
«Proseguendo incontriamo il bivio per PITELLI e CANARBINO (merita una visita il Forte di Canarbino raggiungibile con una lunga strada talvolta sterrata, tra pinete di fronte al mare).
Se proseguiamo diritti, arriviamo alla Piazzetta di Baccano dove un piccolo Mazzini di marmo [1888], spesso con un piccione sulla testa, sembra meditare sui mali del mondo. Baccano! E' possibile non pensare che questo nome derivi da Bacco, come vuole la tradizione che qui sopravvive sempre? Qui sono nati personaggi straordinari, per tutti ricordiamo il poeta Renzo Ferrari; e qui la gente è speciale, di una rara simpatia, forse proprio per il vino. Lo diceva già Emanuele Repetti nel suo Dizionario storico geografico edito a Firenze nel 1833 che qui Vi è abbondanza di frutti squisiti, e precipuamente di viti che danno un ottimo liquore, di olivi, di castagne, di fichi ecc., talché ivi si trova quanto può desiderare l’umana vita dal lato dell'aria, dell’acqua e del suolo. Il popolo di carattere vivace è per la maggiore parte agricolo, le donne industriose e dedicate in buon numero al piccolo commercio o ai lavori di pizzi e di dozzinali trine. Si dice anche sia stato un tempio di Bacco l’attuale Chiesa titolata ai Santi Stefano e Margherita. Non è vero, probabilmente, ma la tradizione indica il sentimento di un’identità gioiosa e conviviale.
Subito dopo la piazza incontriamo sulla sinistra il grande muro di cinta della Villa Picedi Il Chioso, dove ogni settembre si celebra la Festa del Vino tra degustazioni di vini DOC, manifestazioni culturali e balli. La grande villa del secolo XVIII ha parco, statue, torchio, case per i contadini, Oratorio [dell'Annunciazione, della prima metà del XVII secolo] e persino un orto botanico. La bella cancellata in ferro con stemma è stata eseguita dai Mastri Ferrai Malatesta di Sarzana.
E arriviamo [su una pendice del Monte Sorbolo] alla [protoromanica] Pieve dei Santi Stefano e Margherita sulla cui facciata è scritto Terribilis est locus iste gen. 28 1834, un versetto dell’Apocalisse. La chiesa è visitabile solo alla domenica mattina. Il muro laterale della chiesa è stato tagliato per permettere il passaggio dei carri armati durante la seconda guerra mondiale. La pieve, la più antica chiesa arcolana, ha una storia affascinante.
Qui veniva il Vescovo Giovan Battista Salvago (1560-1632) a riposarsi nell’estate e nel 1626 vi fece realizzare una fonte [lungo il sentiero al limite del bosco, oggi costeggiante un uliveto incolto,] che mise a disposizione di chiunque volesse attingere l’acqua, reimpiegando, sotto a un mascherone del suo tempo, un sarcofago romano [del I-II secolo d.C., proveniente dal'antica Luni].
All’interno un’ancona marmorea con Madonna Santi e Gesù Cristo del secolo XV e grandi quadri in buono stato di conservazione del secolo XVII rappresentanti il Martirio di Sant' Andrea e i Santi Margherita e Stefano. Anche le quattordici piccole tele della Via Crucis sono del secolo XVIII. Un grande Cristo crocifisso, opera di un artista contemporaneo, Renato Manfredi, sovrasta dall’alto. Una piccola pala d’altare in ardesia dipinta della fine del ‘500, la Madonna con Bambino e Santi del Bogianus, forse autore genovese, che si trovava in sacrestia, è stata portata al Museo Diocesano di Sarzana. Interessante il fonte battesimale composto di marmi di reimpiego.
Si prosegue tra case vecchie e belle, finché si incontrano la grande Villa Ducci in via Nosedro e di fronte, più elevata, la villa Federici detta La Costella. Se si sale a piedi per via Nosedro si fa un percorso secondario molto affascinante che arriva a costeggiare il muro della villa Picedi e si ricongiunge a Baccano.
E così è bello passeggiare per MONTI seguendo via Andreani [e visitare l'Oratorio di Nostra Signora della Neve della seconda metà del XVI secolo] e da Monti scendere a FRESONARA o ricongiungersi alla vecchia via Romana per salire a MASIGNANO. Qui si incontrano le aziende agricole il Mésueto (Il Misuretto) di Mario Biassoli e quella di Andrea Spagnoli. Mario Soldati e la sua nuora Stefania Sandrelli venivano a rifornirsi qui, godendo la vista più bella di Arcola e del Magra sul versante destro e quella di Vezzano e del golfo su quello sinistro. Il percorso è finito. Di qui si vedono anche le centrali dell’ENEL che turbano il paesaggio e la nostra sensibilità. Si può scendere per ricongiungerci alla Statale o tornare indietro.
TREBIANO
Il Castello di Trebiano controllava l’accesso alla piana di Sarzana. Il collegamento avveniva, allora come oggi, attraverso la valle del Guercio e più anticamente lungo il crinale che risalendo da Pugliola procedeva per Trebiano raggiungendo le spalle del castello. In questa chiave strategica legata alla fortuna del porto di Lerici si comprendono anche le lunghe vertenze fra il Vescovo di Luni e i Malaspina che volevano incastellare il monte Caprione opposto a Trebiano, sul versante destro della valle per controllare il passo di Sarzana.
Ha origini antichissime: il toponimo viene forse dalla Gens Trebia in seguito alla ripartizione dei terreni dei Liguri sconfitti tra i coloni romani (come Albiano, Bolano, Ponzano e Vezzano). Nella Bolla di Eugenio III del 1149 si parla di una plebem de Trebiano. La pieve aveva giurisdizione su di un territorio molto vasto che si spingeva fino al mare inglobando le parrocchie di Lerici e Pugliola. Ma ben prima, nel diploma di Ottone I del 963, Trebiano è indicato come castello. Sotto la giurisdizione dei Vescovi Conti, a cavallo com’era ed è tra la Val di Magra e il mare, poteva contrapporsi al dominio degli Obertenghi di Arcola.
Il castello era retto dai Vicedomini: il vescovo aveva un certo numero di case nel paese e il palazzo, oggi Tancredi, che è tutt’uno con le mura in cui si apre la porta ogivale d’accesso. Trebiano conobbe la dominazione di Pisa ma nel 1254 venne comperato dalla Serenissima.
Ebbe statuti simili a quelli di Arcola che portano la data del 11/2/1450. Aveva coltivazioni dell’olivo e della vite: sono famosi il vino bianco di Trebiano e le uve bianche come l’Albarola e il Rossese. Aveva un ospizio titolato a San Michele Arcangelo talmente povero che alla fine del ‘600 possedeva un solo letto per uomini e donne. Come Arcola e Santo Stefano aveva un servizio di scafe per traghettare il Magra, a proposito del quale mi sembra doveroso ricordare quell’opera d’arte straordinaria che furono gli argini in froldo cioè due chilometri di argini di palafitte per proteggere le coltivazioni dalle piene.
Lasciata la statale si sale per i tornanti mentre la mole scura del Castello sovrasta le case. Si arriva davanti alla Chiesa [Pieve] titolata a San Michele Arcangelo fuori dalle mura e costruita nel secolo XVI su una preesistente chiesa con diverso orientamento corrispondente alla attuale terza cappella a sinistra. La si può trovare aperta solo alla domenica mattina alle 9.30: è piena di tesori. La predella su cui si pongono i piedi per entrare è un’antica lastra tombale: sullo stipite un San Michele sconfigge con foga e quasi grazia il nemico.
All’interno, sulla destra, un cippo marmoreo romano con incisioni e, a sinistra dell’altare centrale, finemente lavorato e sormontato da affreschi nella volta, quattro pannelli del versiliese Filippo Martelli incaricato nel 1634 di proteggere così, lasciandola appena intravedere, una Croce dipinta molto bella del secolo XV, eseguita da un artista sconosciuto, che si presenta molto deteriorata, con fondo quadrettato. Ai piedi del Cristo crocifisso sono dipinti la Maddalena e in alto il pellicano.
A sinistra dell’altare maggiore si apre la cappella Mascardi: è la zona corrispondente all’antica Chiesa, con l’Ancona, detta Icona pulchra in marmo di Carrara di Domenico Gar detto il Lorenese o il Franzosino, scultore francese attivo per alcuni anni a Carrara, collaboratore di uno scultore spagnolo, Bartolomeo Ordognez, che lavorò almeno per un triennio a Carrara al fine di eseguire grandi opere da spedire in Spagna. Don Jacopo Mascardo di Trebiano gli commissionò nel 1524 un altare per la chiesa di San Michele Arcangelo dove lo scultore aveva già realizzato un San Rocco ligneo. L’opera risulta eseguita nel 1529. L’altare è tripartito in nicchie di colore rosso, quella centrale racchiude una splendida Vergine sorridente con il Bimbo in braccio; a sinistra San Bernardo con un libro in mano tiene incatenato il demonio, angelo caduto con corna zampe ecc. A destra Santa Margherita di Antiochia calpesta con il piede non il Drago, ma l’imperatore Massimimo che la aveva perseguitata. In alto il Padre Eterno regge il mondo e sopra a lui il Crocifisso è posto tra la Vergine e San Giovanni. Nella predella tre bassorilievi: la Natività, tre Episodi della vita di San Bernardo e dei suoi fratelli secondo Jacopo da Varagine e Santa Caterina d’Alessandria mentre le ruote si spezzano e rifiutano di torturarla. Notevole la composizione architettonica e la forza delle statue che hanno inflessioni stilistiche in parte diverse, per cui si è parlato di Michelangelo, dell’Ordognez e del Sansovino. Il calcare argilloso rosso delle nicchie, detto marmo di Trebiano fu estratto dalle cave che si trovano nella località Toa e che furono sfruttate fino a metà ‘800.
Il San Rocco ligneo con arcangelo che gli cura la ferita, ora al centro della navata, era posto in un altare sulla destra (è tipico delle opere del Gar un angelo che cura le ferite di San Rocco: lo si ritrova a Ameglia e a Montemarcello) dietro al quale è stato trovato un piccolo vano decorato con grottesche, finti marmi e una dozzina di Santi di cui si conservano le reliquie. Opere preziose, quanto gli antichi affreschi che affiorano sui muri, sono il pulpito ligneo scolpito, la tela con Vergine e Pio V e Santi del '700 recentemente restaurata e la Madonna lignea del sec. XVII a destra dell’Altare maggiore. Anche i piccoli quadri della Via Crucis sono del secolo XVIII.
Si fa presto a percorrere Trebiano in tutte le sue direzioni, per le vie accuratamente tenute, tra le case piene di fiori e i gatti molto amati da artisti e letterati, tra cui Helène de Beauvoir nella cui abitazione oggi ha l’atelier Walter Tacchini, e ancora, tra gli altri, Silvio Loffredo e Susan Newell. Eppure c’è qualcosa di sinistro, di inquieto: lo sentiva anche Vittorio Sereni. Si favoleggia di Inquisizione e ragazze torturate il cui spirito ancora si aggira tra i muri dei tormenti.
Il castello, inagibile, ha mole potente: da quello che resta dei suoi spalti (quando si provvederà a un ripristino, che gli abitanti chiedono da anni?) si comprende la sua importanza difensiva e strategica.
CERRI
Lasciato Trebiano ci avviamo verso Cerri famoso per le sue Maestà [e i suoi suggestivi carobi], più che per la Chiesa [di Sant'Anna] molto rimaneggiata e con due tele settecentesche.
Ci congiungiamo quindi alla Statale e svoltiamo a sinistra verso ROMITO, dove, tra brutti palazzi che fanno davvero male a tutti, abitanti e passanti, dopo la grande Chiesa [dell'Immacolata Concezione] sulla sinistra, si vede dalla strada in una casa qualunque a destra, in via Calesana, una straordinaria scultura del secolo XV, con un Cristo in pietà tra Madonna e San Giovanni, forse proveniente da un’ancona d’altare.»
(R. GHELFI-C. SANGUINETI, I percorsi d'arte più belli e più segreti della Val di Magra e della terra di Luni, Sarzana, Agorà, 2005 )